Eleonora d'Arborea
03/ago/2012
Eleonora d’Arborea, giudicessa di Sardegna - Elianora Juyghissa d’Arbareè
A Roma, l’8 di giugno, nella sala della Protomoteca in Campidoglio, in un incontro ricco di suggestioni è stata ricordata la figura di Eleonora d’ Arborea:
“ Omaggio a Eleonora, Giudicessa d’Arborea”
Due gli interventi della serata, di Antonio Casu con “Eleonora d’Arborea legislatrice” e di Pupa Tarantini con “Eleonora d’Arborea, sa jiudichissa, dal mito alla storia”.
Ma che era dunque questa donna, tanto amata in Sardegna, dove quasi ogni paese ha una strada o una piazza intitolata al suo nome e invece sconosciuta ai più nel continente?
Da qualche anno si è riaccesa l’attenzione su di lei, gli storici hanno approfondito i vecchi studi che la riguardano e nuovi libri sono usciti su questo argomento.
Da segnalare “Vita di Eleonora d’Arborea” di Bianca Pitzorno, Mondadori e il recentissimo “Eleonora d’Arborea, tra mito e realtà” di Stefania De Michelis, Ethos edizioni.
Sa Juyghissa, come lei si firmava con un ardito neologismo al femminile, resse per una ventina d’anni l’Arborea dopo la morte del padre, il giudice Mariano IV de Serra Bas, prima come reggente del figlio, poi in prima persona. Le regole riguardanti la successione in Arborea prevedevano infatti la possibilità che una donna ereditasse il potere ma, almeno fino alla sua ascesa, si era trattato di una mera ipotesi.
É vero però che nessuno nella famiglia era più adatto di lei a raccogliere l’eredità di Mariano IV; Eleonora era la figlia prediletta e gli era stata accanto a lungo, perspicace e intuitiva facendo tesoro di ogni esperienza. Si era infatti sposata solo a 31 anni, stranamente tardi per l’epoca, con un nobile Genovese, Brancaleone Doria. Ormai donna fatta, aveva mantenuto anche nel matrimonio autonomia di giudizio e spirito d’intraprendenza.
Il termine giudice era usato in Sardegna nel basso medioevo per indicare non un magistrato, ma i principi autonomi che governavano le quattro zone, chiamate appunto giudicati, in cui si era divisa l’isola dopo la dominazione bizantina.
Al momento della nascita di Eleonora, intorno al 1345 circa, l’Arborea era il più esteso e comprendeva i territori più fertili dell’isola. Il nonno Ugone e poi suo padre avevano governato con avvedutezza il paese, stringendo legami politici e commerciali con Pisa e Genova.
Molto più difficili i rapporti col regno di Aragona, i cui sovrani in seguito a una discussa investitura papale dal 1297 si consideravano feudatari di Sardegna. In pratica l’Arborea rifiutò nettamente di considerarsi uno stato vassallo e per circa un secolo si trascinò una guerra con alterne vicende
Quando con un disonorevole stratagemma gli Aragonesi catturarono e rinchiusero nella fortezza di Cagliari suo marito Brancaleone, Eleonora si rifiutò fermamente di pagare l’esoso riscatto richiesto. Cedette solo dopo due anni alle pressanti richieste del coniuge di organizzare la fuga, ma tutto finì in un fallimento.
Dovettero passare sette anni prima che i due si rivedessero, sette anni nei quali la giudicessa portò a termine con determinazione l’opera di espansione e consolidamento del giudicato allargandone e rafforzandone i confini, utilizzando per pagare le proprie truppe il denaro che gli Aragonesi avevano chiesto per il riscatto del marito.
Solo l’ennesima epidemia di peste del 1403, la prima del nuovo secolo dopo quelle che avevano travagliato tutto il trecento, riuscì a domare i sardi e a spegnere la fiamma tenuta alta dalla loro sovrana. Devastata dal morbo, l’isola cedette senza più combattere e l’Aragona se ne impossessò finalmente senza colpo ferire.
Nella prassi e negli orientamenti di governo Eleonora si riallacciò direttamente all'esperienza del padre. Punti nevralgici della sua azione furono la difesa della sovranità e dei confini territoriali del giudicato e, infine, l'opera di sistemazione definitiva degli ordinamenti e degli istituti giuridici locali che diede vita alla Carta de Logu.
Cosa singolare ai suoi tempi, Eleonora non ebbe una visione assolutistica del potere, ma anzi dalla lettura del codice da lei firmato appare chiaro che riteneva di dovere al consenso del popolo sardo la propria legittimazione a regnare.
Quando mancò, portata via dall’epidemia che falcidiava i suoi sudditi, una fra tanti uguali nella morte, era appena riuscita a completare il progetto di suo padre Mariano, riunendo nelle proprie mani quasi tutta l’isola, dopo aver ricacciato gli Aragonesi costringendoli a rifugiarsi sulle fortezze della costa.
Scrive Carlo Cattaneo, nel suo libro “Geografia e storia della Sardegna” (ristampato da Donzelli nel 1996 e ancora disponibile)“: ..i Suoi la seppellirono col suo stendardo di guerra, con grande e doloroso pianto” e aggiunge poi con un po’ di retorica “certo questa è la più splendida figura di donna che abbiano le istorie italiane, non escluse quelle di Roma antica” (pag.112)
La sola azione politica già basterebbe a fare di Eleonora un personaggio di spicco nel suo secolo, ma a questo va aggiunta la singolarità del suo esser donna di potere e di governo quando alle donne ben poco era concesso, nel pubblico e nel privato.
Ma non basta: l’aspetto più interessante del suo operato è l’attività di legislatrice. Con la promulgazione della Carta de Logu intorno al 1392, la sovrana dotò la Sardegna di uno dei primi codici di leggi scritte di tutta Europa.
Ispirandosi alle tradizioni giuridiche Greco-romane, riviste e adattate alle consuetudini locali sarde, la giudicessa rielaborò una precedente carta firmata da suo padre trasformandola in un complesso codice di leggi, in cui si possono agevolmente riconoscere tre diverse sezioni che riportano norme di diritto civile, penale e rurale.
La scrittura è in un colto volgare sardo; la lingua risente ancora di forti influssi latini, ma era probabilmente comprensibile alla maggior parte dei sudditi. Appare evidente la volontà di rendere la Legge accessibile e uguale per tutti, e di sottolineare l’indipendenza dell’Arborea dinnanzi all’odiata Aragona.
La Carta de Logu segna una tappa importante nella lunga strada che porterà diversi secoli dopo alla concezione dello “stato di diritto”. La legge scritta permette infatti a tutti i cittadini di conoscere le norme e le pene previste per la loro violazione, dando loro la certezza del diritto.
Moderna nella concezione, relativamente moderata nelle pene, la Carta prevede la pena di morte solo in pochi gravi casi, stabilendo nella maggior parte delle ammende pecuniarie (le casse dello Stato erano al solito sempre allo stremo!) ed è particolarmente attenta a sottolineare la dignità della donna. Stabilisce eguali diritti ereditari dei fratelli di entrambi i sessi e promulga norme avanzatissime riguardo allo stupro, reato che non si estingue con le nozze ma che prevede comunque un forte risarcimento, a al matrimonio, in cui si riconosce alla moglie uno status giuridico ed economico rilevante.
Nel caso dei delitti più gravi poi Eleonora rifiuta l’antica consuetudine barbarica importata dai Goti per cui il sangue poteva essere asciugato con l’oro; regola questa che avrebbe permesso ai ricchi ogni impunità. L’omicidio volontario era infatti punito con l’impiccagione, qualunque fosse il censo o la carica di chi lo avesse commesso.
Circa un terzo dei 163 articoli che compongono la Carta de Logu, sono dedicati alla difesa dell’agricoltura e alla regolamentazione dei rapporti tra pastori e contadini, con una chiara propensione a favore di questi ultimi. Sono una lettura interessante e a volte anche divertente (naturalmente tradotti dalla lingua originale!) perchè offrono un vivido quadro della vita sull’isola nel tardo medioevo, quando in una sorta di piccolo far west nostrano si scontravano gli interessi degli allevatori con quelli degli agricoltori stanziali. Guai a far sconfinare le greggi in campi recintati, o ancor peggio rubare un cavallo o commerciare pelli illegalmente. Persino sottrarre dal nido falchi ed astori da addestrare per la caccia era severamente proibito, a tutela di privilegi nobiliari, ma una volta tanto indirettamente anche dell’ambiente e della fauna locale.
Per questo un falchetto che nidifica nel golfo di Orosei è stato chiamato in suo onore falco eleonorae o falco della regina ed è bella l’immagine della giudicessa medioevale sul suo cavallo, con il piccolo rapace, protetto da una legge accorta, portato alto sul guantone destro.