1908-2008 Cent'anni dopo il Congresso del CNDI
01/giu/2008
Luciana Tufani Editrice
Leggere Donna
nuova serie n. 134
maggio-giugno 2008
Silvia Mori
La mattina del 23 aprile 1908 la bella scalinata che da Piazza del Campidoglio porta al palazzo dei Conservatori era percorsa da un via vai di persone, in larga maggioranza dame in abiti eleganti, con vezzosi cappellini ed acconciature ricercate. Tutte si recavano ad assistere all’inaugurazione del congresso del CNDI, il Consiglio Nazionale delle Donne Italiane, che si sarebbe svolta alla presenza della Regina Elena.
Numerose polemiche tra le varie associazioni femministe avevano preceduto l’evento. Quelle collocate più a sinistra avevano duramente criticato l’impostazione data alla manifestazione, a cui erano state ammesse anche le esponenti di gruppi giudicati troppo conservatori; per questo, contrariate dalla presenza della Regina e di tante autorità, erano assenti Anna Kuliscioff e molte socialiste massimaliste, oltre alle repubblicane come Alina Albani.
Quest’ultima, mazziniana e astensionista, si era cocciutamente rifiutata di presenziare al congresso nonostante le garbate insistenze delle sue compagne dell’Associazione per la donna, la più importante e radicale a Roma, di cui era stata una delle fondatrici.
Le altre erano Virginia Nathan, Giacinta Martini, Elisa Lollini, Eva De Vincentiis: le avevano soprannominate "le dame del Quintetto"; lavoravano assieme da quasi quindici anni, ma negli ultimi tempi Alina se ne stava gradualmente allontanando.
Le altre quattro, dopo matura riflessione, avevano invece deciso di partecipare ai lavori ed avevano chiesto e ottenuto che un’intera giornata venisse dedicata ad una sessione sul diritto di voto, che sarebbe stata diretta da Giacinta Martini, presidente della Pro Suffragio.
Certo il rischio che l’aspetto mondano prendesse il sopravvento sui contenuti era forte, ma bisognava correrlo, cercando nel contempo di lavorare per sventarlo.
Fu così che nelle settimane precedenti l’Associazione per la donna era stata la più attiva nei preparativi, sia logistici che concettuali, favorita anche dal fatto che aveva la propria sede in Roma e che una delle dirigenti, Virginia, era la moglie del Sindaco Nathan. Seguire con partecipazione gli avvenimenti politici e dedicarsi alle attività sociali con passione e intelligenza erano infatti una tradizione che le donne di casa Nathan si tramandavano da una generazione all’altra.
La prima era stata Sara che, nonostante dodici figli, aveva trovato il tempo e l’entusiasmo per sostenere con impegno la causa dell’unità italiana; amica di Cattaneo e Mazzini (che sarebbe poi morto in casa di un’altra Nathan, la figlia Jane), li aveva a lungo ospitati nella propria villa di Lugano. Nei suoi ultimi anni aveva poi fondato a Roma un ostello per ex-prostitute, iniziativa considerata all’epoca a dir poco audace e stravagante, ed una scuola per ragazze povere in cui si insegnava loro un mestiere e dove all’ora di religione era stata sostituita quella di etica. Dopo la morte di Sara, la nuora Virginia ne aveva continuato il lavoro coadiuvata dalle figlie, Liliah in particolare.
L’apertura dei lavori era prevista per le dieci e trenta ma l’arrivo della giovane ed elegantissima Regina, accompagnata dalla principessa Letizia, provocò un notevole trambusto: tutti volevano vederla, avvicinarla, esserle possibilmente presentati ed il discorso introduttivo del Sindaco cominciò con notevole ritardo.
Le dame dell’Associazione sedevano a sinistra nelle prime fila e con sorpresa di tutti fu proprio verso di loro che si rivolse Ernesto Nathan; fu un buon inizio perchè difficilmente si sarebbe potuto trovare un uomo che fosse per convinzioni personali e per tradizione di famiglia più vicino ai movimenti femministi.
“Come rappresentante della città, era meglio fosse stata al posto mio la compagna della mia vita, intesa pur essa a pieno degli scopi per i quali voi siete oggi riunite...”
Virginia, che non se l’aspettava, accolse con le lacrime agli occhi l’applauso che seguì.
I lavori proseguirono poi per cinque giorni e furono affrontati numerosi problemi, ma quasi nessuno trovò soluzioni. Molto si insistette sulla necessità di rendere effettivo e praticabile da tutti l’obbligo scolastico, legando il problema a quello gravissimo del lavoro minorile, ma i fondi necessari dovevano ovviamente esser stanziati dal governo. Si parlò poi della riforma del diritto di famiglia, chiedendo sia l’abolizione della potestà maritale che una legge sulla ricerca della paternità.
Teresa Labriola, fresca di laurea in legge, presentò anche delle proposte a difesa delle minorenni e contro la facilità con cui venivano amnistiati i così detti delitti d’onore; successivamente sarebbe diventata presidente della sezione giuridica del CNDI promuovendo inchieste sulle donne laureate e richiedendo di liberalizzare il loro accesso alle professioni.
Nella giornata dedicata al voto femminile fu corale l’accordo tra le varie anime del suffragismo nazionale nel chiedere con urgenza almeno quello amministrativo; Giacinta Martini Marescotti diresse i lavori con perizia e fu infine pubblicato un ordine del giorno unitario.
Di fatto però le divergenze furono numerose, soprattutto sui diritti civili e sulla concezione del lavoro femminile e si preferì insistere su concetti generici quale l’elevazione morale e culturale delle donne. Troppo contrastanti erano le varie anime del femminismo italiano che attraversava trasversalmente la società e comprendeva donne di ideali e mentalità diverse, laiche e cattoliche, marxiste, mazziniane e idealiste.
Tra i più gravi elementi di dissidio tra le socialiste e le moderate fu il fatto che la lotta per il suffragio femminile era considerata in qualche modo viziata dalla contaminazione tra le esigenze diverse della borghesia e del proletariato, non abbastanza rappresentato nelle associazioni.
A questo cercarono di rispondere con particolare efficacia Teresa Labriola ed Elisa Lollini Agnini.
Disse infatti la prima: “Nell’attuale momento siamo noi che dobbiamo avere la coscienza riflessa delle donne del proletariato, che noi delle classi colte e intellettuali rappresentiamo qui in ispirito”.
Elisa invece in una lettera all’Avanti! scriveva: “Nel Comitato Pro Suffragio ci sono donne di ogni partito, tutte volenterose e pronte ad associarsi a qualunque movimento di operaie che dovesse sorgere, appoggiandolo, se sarà loro possibile, per mezzo della propaganda”.
Il Congresso si chiuse quindi con pochi risultati concreti, ma ebbe comunque il grande merito di aver portato a conoscenza di un pubblico più vasto le tematiche dei movimenti femministi e di chiarire le diverse impostazioni ideologiche; anche la presenza della Regina e di tante autorità non risultò poi così dannosa come le integraliste avevano temuto, servì invece a sdoganare le associazioni femministe, che videro aumentare considerevolmente il numero delle proprie simpatizzanti.
Leggere Donna
nuova serie n. 134
maggio-giugno 2008
Silvia Mori
La mattina del 23 aprile 1908 la bella scalinata che da Piazza del Campidoglio porta al palazzo dei Conservatori era percorsa da un via vai di persone, in larga maggioranza dame in abiti eleganti, con vezzosi cappellini ed acconciature ricercate. Tutte si recavano ad assistere all’inaugurazione del congresso del CNDI, il Consiglio Nazionale delle Donne Italiane, che si sarebbe svolta alla presenza della Regina Elena.
Numerose polemiche tra le varie associazioni femministe avevano preceduto l’evento. Quelle collocate più a sinistra avevano duramente criticato l’impostazione data alla manifestazione, a cui erano state ammesse anche le esponenti di gruppi giudicati troppo conservatori; per questo, contrariate dalla presenza della Regina e di tante autorità, erano assenti Anna Kuliscioff e molte socialiste massimaliste, oltre alle repubblicane come Alina Albani.
Quest’ultima, mazziniana e astensionista, si era cocciutamente rifiutata di presenziare al congresso nonostante le garbate insistenze delle sue compagne dell’Associazione per la donna, la più importante e radicale a Roma, di cui era stata una delle fondatrici.
Le altre erano Virginia Nathan, Giacinta Martini, Elisa Lollini, Eva De Vincentiis: le avevano soprannominate "le dame del Quintetto"; lavoravano assieme da quasi quindici anni, ma negli ultimi tempi Alina se ne stava gradualmente allontanando.
Le altre quattro, dopo matura riflessione, avevano invece deciso di partecipare ai lavori ed avevano chiesto e ottenuto che un’intera giornata venisse dedicata ad una sessione sul diritto di voto, che sarebbe stata diretta da Giacinta Martini, presidente della Pro Suffragio.
Certo il rischio che l’aspetto mondano prendesse il sopravvento sui contenuti era forte, ma bisognava correrlo, cercando nel contempo di lavorare per sventarlo.
Fu così che nelle settimane precedenti l’Associazione per la donna era stata la più attiva nei preparativi, sia logistici che concettuali, favorita anche dal fatto che aveva la propria sede in Roma e che una delle dirigenti, Virginia, era la moglie del Sindaco Nathan. Seguire con partecipazione gli avvenimenti politici e dedicarsi alle attività sociali con passione e intelligenza erano infatti una tradizione che le donne di casa Nathan si tramandavano da una generazione all’altra.
La prima era stata Sara che, nonostante dodici figli, aveva trovato il tempo e l’entusiasmo per sostenere con impegno la causa dell’unità italiana; amica di Cattaneo e Mazzini (che sarebbe poi morto in casa di un’altra Nathan, la figlia Jane), li aveva a lungo ospitati nella propria villa di Lugano. Nei suoi ultimi anni aveva poi fondato a Roma un ostello per ex-prostitute, iniziativa considerata all’epoca a dir poco audace e stravagante, ed una scuola per ragazze povere in cui si insegnava loro un mestiere e dove all’ora di religione era stata sostituita quella di etica. Dopo la morte di Sara, la nuora Virginia ne aveva continuato il lavoro coadiuvata dalle figlie, Liliah in particolare.
L’apertura dei lavori era prevista per le dieci e trenta ma l’arrivo della giovane ed elegantissima Regina, accompagnata dalla principessa Letizia, provocò un notevole trambusto: tutti volevano vederla, avvicinarla, esserle possibilmente presentati ed il discorso introduttivo del Sindaco cominciò con notevole ritardo.
Le dame dell’Associazione sedevano a sinistra nelle prime fila e con sorpresa di tutti fu proprio verso di loro che si rivolse Ernesto Nathan; fu un buon inizio perchè difficilmente si sarebbe potuto trovare un uomo che fosse per convinzioni personali e per tradizione di famiglia più vicino ai movimenti femministi.
“Come rappresentante della città, era meglio fosse stata al posto mio la compagna della mia vita, intesa pur essa a pieno degli scopi per i quali voi siete oggi riunite...”
Virginia, che non se l’aspettava, accolse con le lacrime agli occhi l’applauso che seguì.
I lavori proseguirono poi per cinque giorni e furono affrontati numerosi problemi, ma quasi nessuno trovò soluzioni. Molto si insistette sulla necessità di rendere effettivo e praticabile da tutti l’obbligo scolastico, legando il problema a quello gravissimo del lavoro minorile, ma i fondi necessari dovevano ovviamente esser stanziati dal governo. Si parlò poi della riforma del diritto di famiglia, chiedendo sia l’abolizione della potestà maritale che una legge sulla ricerca della paternità.
Teresa Labriola, fresca di laurea in legge, presentò anche delle proposte a difesa delle minorenni e contro la facilità con cui venivano amnistiati i così detti delitti d’onore; successivamente sarebbe diventata presidente della sezione giuridica del CNDI promuovendo inchieste sulle donne laureate e richiedendo di liberalizzare il loro accesso alle professioni.
Nella giornata dedicata al voto femminile fu corale l’accordo tra le varie anime del suffragismo nazionale nel chiedere con urgenza almeno quello amministrativo; Giacinta Martini Marescotti diresse i lavori con perizia e fu infine pubblicato un ordine del giorno unitario.
Di fatto però le divergenze furono numerose, soprattutto sui diritti civili e sulla concezione del lavoro femminile e si preferì insistere su concetti generici quale l’elevazione morale e culturale delle donne. Troppo contrastanti erano le varie anime del femminismo italiano che attraversava trasversalmente la società e comprendeva donne di ideali e mentalità diverse, laiche e cattoliche, marxiste, mazziniane e idealiste.
Tra i più gravi elementi di dissidio tra le socialiste e le moderate fu il fatto che la lotta per il suffragio femminile era considerata in qualche modo viziata dalla contaminazione tra le esigenze diverse della borghesia e del proletariato, non abbastanza rappresentato nelle associazioni.
A questo cercarono di rispondere con particolare efficacia Teresa Labriola ed Elisa Lollini Agnini.
Disse infatti la prima: “Nell’attuale momento siamo noi che dobbiamo avere la coscienza riflessa delle donne del proletariato, che noi delle classi colte e intellettuali rappresentiamo qui in ispirito”.
Elisa invece in una lettera all’Avanti! scriveva: “Nel Comitato Pro Suffragio ci sono donne di ogni partito, tutte volenterose e pronte ad associarsi a qualunque movimento di operaie che dovesse sorgere, appoggiandolo, se sarà loro possibile, per mezzo della propaganda”.
Il Congresso si chiuse quindi con pochi risultati concreti, ma ebbe comunque il grande merito di aver portato a conoscenza di un pubblico più vasto le tematiche dei movimenti femministi e di chiarire le diverse impostazioni ideologiche; anche la presenza della Regina e di tante autorità non risultò poi così dannosa come le integraliste avevano temuto, servì invece a sdoganare le associazioni femministe, che videro aumentare considerevolmente il numero delle proprie simpatizzanti.