M. Wollstonecraft - Lettere scandinave
Editore: Palomar, Bari 2007
Recensione:
Luciana Tufani Editrice - Leggere Donna (n. 140)
maggio-giugno 2009
Luisa Pontrandolfo, docente di letteratura inglese presso l’università di Bari, ha recentemente tradotto e pubblicato in una bella edizione con il testo a fronte le Lettere scandinave di Mary Wollstonecraft.
La Wollstonecraft, vissuta nella seconda metà del diciottesimo secolo é da sempre considerata un’icona del femminismo storico inglese, sia per i suoi libri che per le sue scelte di vita.
Scrisse di lei Virginia Woolf: “Il nocciolo della sua filosofia era che nulla conta se non l’indipendenza.”
Ed ancora: “Ha combattuto tutta la vita, contro la tirannia, contro le leggi, contro le convenzioni.”
Dopo un’infanzia difficile Mary per guadagnarsi da vivere si occupa per qualche anno come istitutrice in dimore signorili; poi più che mai convinta della necessità di dare un’istruzione anche alle donne, apre per qualche anno una scuola femminile. Da questa esperienza nacque il suo primo libro, Thoughts on the education of daughters, che ebbe un discreto successo, facendole guadagnare il denaro necessario per recarsi in Francia.
Il tema del viaggio è infatti un’altra costante nella sua vita avventurosa.
Quando Mary arriva a Parigi siamo nel 1789; vi rimarrà per cinque anni ed è ovvio che il soggiorno sarà profondamente segnato dagli avvenimenti della grande rivoluzione.
Lì conosce un radicale americano, Gilbert Imlay che diviene il suo compagno e dal quale avrà una figlia. Per suo conto nell’estate del 1795 si reca in Scandinavia per recuperare un prezioso carico che Imlay aveva affidato a un capitano norvegese diretto a Goteborg; la accompagnano la sua bimba di un anno ed una giovane governante francese.
Nei 4 mesi di viaggio raccoglie e descrive le proprie esperienze e le conseguenti riflessioni in 25 lettere che verranno pubblicate l’anno successivo; intanto ha iniziato la stesura di The Wrongs of a Woman, il suo libro più importante.
Nel frattempo a sua storia d’amore si é consumata; Mary tenta addirittura il suicidio, ma infine si riprende e quando incontra William Godwin é pronta per una nuova passione. Nel 1797 si sposano, sorprendendo tutti perchè lei si era sempre dichiarata contraria al matrimonio e pochi mesi dopo viene alla luce la loro bambina. Purtroppo a dieci giorni dal parto, Mary colpita da setticemia perde la vita.
La bambina erediterà dalla madre insieme al nome anche il talento letterario: é lei infatti la Mary Godwin Wollstonecraft Shelley autrice del famoso Frankenstein, il romanzo fantastico che scrisse per gioco appena diciannovenne, quando fresca sposa del poeta Shelley era ospite di Lord Bayron in una villa sul lago di Ginevra. Per ingannare il tempo in un’estate piovosa i tre si erano scherzosamente sfidati a buttar giù qualche storia di fantasmi; certo la piccola Mary non avrebbe mai immaginato che il suo lavoro sarebbe stato l’unico a rimanere nel tempo!
Di tutt’altra natura sono invece i lavori di sua madre, sempre ancorati alla riflessione e ai problemi reali della vita.
Le 25 Letters written during a short residence in Sweden, Norway and Denmark, furono scritte in momenti e luoghi diversi spesso anche in precarie condizioni, su di una nave, in locande sperdute, addirittura durante trasferimenti in carrozza e costituiscono un testo piuttosto originale; ci si ritrovano elementi autobiografici, descrittivi e sentimentali in un accattivante miscuglio di generi.
Affascinanti sono le descrizioni del profondo nord; inizialmente nello sguardo dell’autrice i grandi spazi selvaggi e la natura incontaminata si contrappongono alla claustrofobica Europa, vecchia e corrotta. Forse, si dice, in questo mondo più fresco ed intatto sarebbe possibile dar vita a una società in cui i mutamenti sociali e politici si ispirino agli ideali degli amati Locke e Rousseau.
Successivamente però si rende conto di come anche lì le ragioni economiche governino i rapporti umani, di come gli uomini tengano ugualmente le redini del potere nella società e nella famiglia e di come le donne siano schiave di pregiudizi, condizionate dal rispetto della forma, incapaci di elevarsi al di sopra dei luoghi comuni. L’universo femminile le appare arretrato e confuso; i rapporti tra i sessi sono legati ai soliti stereotipi, il modo di allevare i bambini è tradizionale e spesso malsano. Con difficoltà l’autrice cerca un feeling con alcune di loro, ma viene sempre guardata con curiosità, ammirazione e malcelato sospetto; più facilmente invece si rapporta con gli uomini, probabilmente perché avendo maggiore esperienza di vita li sente meno lontani dalla propria cultura e questo turba un poco la sua coscienza femminista.
Sempre però lo sguardo attento dell’autrice si rivolge con piacere verso gli aspetti più violenti e selvaggi della natura, soffermandosi con particolare interesse sui fenomeni estremi, tempeste, cascate, foreste impenetrabili, a dimostrazione di una sensibilità già pre-romantica.
La descrizione di questa Scandinavia povera e naif sorprende e colpisce il lettore moderno, abituato a considerarla uno dei luoghi più ricchi ed evoluti del pianeta, ma costituisce a mio parere uno degli elementi di maggior fascino del libro; Mary intuisce che anche in quelle regioni estreme le genti sono sul punto di raggiungere lo stadio di sviluppo dei paesi più evoluti.
Confrontando lo stile di vita degli scandinavi con quello dei francesi si rende infatti conto che esso è un indice inequivocabile del progresso raggiunto da questi ultimi, non solo in termini economici, ma anche sociali e culturali. È quindi la prova evidente del raggiungimento di quella civiltà a cui aspiravano gli spiriti più illuminati del grande secolo che si stava concludendo.