A.McDermott - Dopo tutto questo

Traduzione di Monica Pareschi

Editore: Einaudi, Torino, 2009
Recensione:
Luciana Tufani Editrice - Leggere Donna (n. 143)
novembre-dicembre 2009

Dopo tre anni dalla pubblicazione negli USA, Einaudi ci propone After this l’ultimo romanzo di Alice McDermott, un’importante scrittrice americana già nota per aver vinto nel 1998 il National Book Award per Charming Billy.
Si tratta anche in questo caso di un libro importante, ricco di sentimento e di humour, ambientato nella comunità irlandese cattolica di Long Island, che racconta la storia di una famiglia della low middle-class attraverso un ventennio, dalla fine della seconda guerra mondiale al conflitto vietnamita.
Filtrati dalle vicende dei Keane, esposte in tono pacato e apparentemente dimesso ma con un pathos intenso e sottile, due decenni di storia si dipanano dinnanzi ai nostri occhi. É infatti il tempo uno dei protagonisti principali di questo racconto, nel suo scorrere implacabile a dispetto degli sforzi degli uomini per trattenerlo e nel continuo mutamento di cultura e abitudini a cui ci impone di adeguarci, trasformando tutto ma non i valori che danno un senso alla vita, anche nella modestia della quotidianità e nella sofferenza che di essa fa parte.
Il romanzo si apre con delle bellissime pagine: Mary, la protagonista (non a caso sono Mary e John i nomi dei personaggi principali, a sottolineare la loro valenza simbolica nel rappresentare i tanti John e Mary d’America) esce da una chiesa in una ventosa giornata d’aprile. É andata a pregare; la sua vita si svolge monotona e vuota, ma lei ha chiesto soltanto:
fa che io possa accontentarmi di quello che ho.
La Chiesa, la fede, la pratica religiosa condizionano infatti tutta la sua vita; più ancora della società é la comunità d’appartenenza a dettare le regole della sua esistenza, umiltà, ubbidienza e sacrificio, anche dopo il matrimonio e la nascita dei figli.
La storia continua con l’incontro con John, reduce di guerra, con i postumi di qualche lontana ferita ancora vivi nel corpo e nel cuore; sarà un incontro d’amore e non solo l’unione di due solitudini. Poi arriveranno i figli, due maschi e due femmine, e per i genitori, non più giovanissimi, inizierà il duro lavoro di educarli e seguirli in una società in rapida evoluzione i cui modelli sfuggono spesso alla loro comprensione.
Infatti davanti ai richiami della modernizzazione, la nuova libertà sessuale, l’edonismo e la secolarizzazione della vita, diventerà sempre più difficile per una famiglia cattolica tramandare i propri valori; sempre più lontani dall’intensa religiosità delle generazioni precedenti i quattro figli si allontaneranno per strade diverse.
Solo dopo la tragica morte del primogenito nella guerra del Vietnam, l’ultima figlia, Claire, rimasta incinta giovanissima troverà nell’accettazione della maternità e nel conforto familiare una ragione più profonda di vita e con un insolito ribaltamento dei ruoli diverrà il sostegno ed il fulcro intorno a cui ruoterà l’intero nucleo familiare.
Nonostante davanti alle difficoltà dell’esistenza Mary e John fatichino a scorgere i segni della grazia divina, con caparbia costanza continueranno a cercare di dare un senso con la religione al dolore e alla morte, le realtà più dure dell’esperienza umana, a differenza dei loro figli consapevoli che la bilancia tra peccato e sofferenza non é affatto in equilibrio.
Sorprendente e commovente é quindi questo spaccato di una comunità americana ed il paragone che sorge immediato é quello con le storie di Philip Roth; tanto diversi ci appaiono questi irlandesi, eppure tanto simili ai suoi ebrei del New Jersey, nello spirito amaro e pungente, nei potenti legami familiari e nell’intima tendenza all’autocommiserazione.
Usando maestria e sensibilità la McDermott ci ha infatti offerto un poetico e accorato ritratto di una fascia d’America bianca che vive però ai margini della vita convulsa della grande metropoli e che ha visto nei decenni scorsi naufragare quasi tutte le speranze di una vita migliore, per sé e per i figli. Per loro il grande sogno americano non si é avverato, sconfitto forse dal Vietnam, o da una delle ricorrenti crisi; ai tanti di noi che in fondo abbiamo sempre continuato ad amare questo grande paese non resta che l’augurio di poter ritrovare presto tutti la fiducia