L. Levi - La sposa gentile
Recensione:
Luciana Tufani Editrice - Leggere Donna (n. 147)
maggio-giugno 2010
Finalmente, dopo tanti libri difficili, duri, scabrosi, a volte addirittura dolorosi che mi sono capitati tra le mani in quest’ultima stagione, ecco un romanzo interessante ma al contempo pacato e piacevole.
Con toni lievi e delicati Lia Levi, in stile piano e scorrevole, racconta una storia d’amore, la storia di un uomo e di una donna che si incontrano, si amano e fondano una famiglia, continuando a volersi bene per tutta la vita. È una storia semplice, “gentile”, se mi è concesso di usare questo termine nella sua più comune accezione, che non è però quella a cui si riferisce l’autrice nel titolo.
La sposa gentile è infatti una gojà, una non ebrea nel lessico familiare della comunità ebraica, all’interno della quale è ambientato il libro.
Siamo a Saluzzo, ai primi del Novecento, quando Amos Segre, giovane banchiere in rapida ascesa, alla soglia dei trent’anni incontra casualmente Teresa, la diciottenne figlia di un fattore di campagna appena uscita da un collegio di suore. È un classico colpo di fulmine. Lui è sedotto dalla fresca bellezza di lei e dalla sua naturale dolcezza. Lei è travolta dalla vitalità e dalla superiorità intellettuale di lui.
Dopo pochi mesi di passione clandestina, Amos la porta a vivere con sè; Teresa aspetta un figlio e le differenze di cultura, religione e ceto sociale ai suoi occhi non hanno più alcun senso. Non è però così per gli altri. Per qualche anno il mondo esterno, le due famiglie e le due comunità cittadine li isolano e li ignorano, scandalizzati da questa unione disdicevole. La solitudine tiene loro un’incantata compagnia. Teresa quasi non se ne accorge; tutta presa dal suo amore cerca solo di compiacerlo, approfittando di ogni occasione per crescere ed imparare, affinché lui non debba vergognarsi di lei. Quando Sarina, la figlia del rabbino, vecchia amica di famiglia, per prima si riavvicina alla coppia, si appoggia a lei per approfondire la conoscenza dell’ebraismo, la religione del suo uomo. Il motivo è sempre lo stesso: essere come Amos, renderlo felice, non farlo mai pentire di averla scelta.
Ciò nonostante Teresa non si annulla nel suo amore per il marito. Nel corso degli anni gli da altri tre figli e impara a gestire la propria casa secondo le esatte regole della kasherut, assimilando la forma e lo spirito dell’ebraismo, ricongiungendo pian piano in un unico abbraccio tutti i rami della famiglia Segre, divenendone in qualche modo il fulcro. Eppure in tutto questo le sue scelte sono precise e assolutamente personali; è per sua volontà, secondo un suo disegno che questo avviene e non perchè lei sia succube di Amos.
“Mah - disse poi alla cognata con tono esitante - io voglio sempre che lui sia contento. E anche lui lo vuole per me. È tutto qui. Gli altri matrimoni forse sono fatti di tante cose in più, ma a me sembra che questa cosa se la dimentichino.”
È per questo che la morte del marito porta via una parte dell’anima di Teresa e rende vana la sua religiosità ebraica.
“Il Seder!- disse a sua figlia - Ma papà non c’è più! Io a tuo padre ho dato una famiglia ebraica. Adesso tocca a voi.”
La splendida scultura lignea del Brustolon raffigurante una Madonna col bambino, che Amos aveva acquistato tanti anni prima e che aveva sempre trovato posto in salotto (Lo sai che anche la Madonna era ebrea, lei aveva detto allora sorridendo a Sarina), con sgomento dei figli viene spostata sul cassettone in camera da letto.
“ ...Eccola lì, a troneggiare solenne e solitaria sul lucido marmo del mobile della stanza dove la madre dormiva. Teresa seguì lo sguardo della figlia – Mi è sempre piaciuta quella testa di Madonna – mormorò tranquilla.”
Questa è in rapida sintesi la trama del libro, ma sullo sfondo degli avvenimenti narrati s’intravede la storia del periodo.
Una scrittura agile, una acuta capacità di analisi nella descrizione dei caratteri dei personaggi ci consegnano un vivido affresco della società d’allora. Si parte dall’Italia giolittiana, con i suoi scandali e i suoi fermenti ( delizioso e certo non minore il personaggio di Rachele, la cognata femminista), un paese in cui sembrava che l’integrazione fosse possibile. Si arriva poi al periodo difficile della grande guerra e dell’avvento del fascismo. Infine, in coincidenza non casuale con la morte di Amos, alla parabola ascendente del regime, il patto con Hitler, le leggi razziali.
Nell’anno tragico 1938 si chiude un’epoca, per la famiglia Segre e per tutti gli ebrei d’Europa; ma non è questo l’argomento del libro, in cui Lia Levi ci ha soprattutto raccontato la storia di una donna ha voluto sempre, più di ogni altra cosa, che lui fosse contento.