Verena Stefan - Ospiti estranei
19/maggio/2012
Luciana Tufani Editrice,
Ferrara 2012, pp. 167, euro12,00.
Sempre attenta a quel che succede nel panorama letterario elvetico, questa volta Luciana Tufani ci propone davvero un piccolo gioiello di scrittura: l’ultimo romanzo di Verena Stefan nella limpida ed efficace traduzione di Emanuela Cavallaro.
L’autrice, nata e cresciuta a Berna, si é trasferita prima in Germania e poi in Canada, patria della sua compagna di vita. Da quest’ultima esperienza, a cui si accompagna quella dolorosa di un cancro al seno combattuto e vinto, nasce lo spunto per questo romanzo.
Sin dalle prime pagine il lettore viene coinvolto in un fluire di immagini ed emozioni, una corrente che trascina lontano. Si penetra nel pensiero di una straniera che entra non solo in un territorio nuovo, ma é sopraffatta dalla difficoltà della comunicazione linguistica. C’é nel testo un eccezionale gioco di lingue che percepiamo chiaramente grazie all’ottima traduzione dal tedesco, che viene spesso interrotto da inserti in inglese e francese.
Per Verena infatti il linguaggio é il segno tangibile della patria ed é quindi tutta tesa ad assimilare al più presto i suoni e i contenuti dei due idiomi del nuovo paese in cui vive; fatica immane a cinquant’anni, quando la lingua cui puoi fare riferimento e di cui puoi fidarti, quella con cui per abitudine fai confronti, non sta più al centro e tutto intorno sembra franare.
A questo poi si aggiunge la brutta scoperta di un cancro al seno. Sarà però in qualche modo la malattia a darle la forza di vincere, non solo il carcinoma, ma anche le proprie difficoltà di ambientazione, grazie al sostegno e alle cure ricevute nel nuovo ambiente quebecchese.
Come già suo padre, tedesco trapiantato in Svizzera durante la guerra, Verena inizialmente si sente un’ospite estranea una “fremdschlafer”, termine burocratico con cui gli svizzeri indicano i richiedenti asilo che vengono sorpresi a dormire in un altro alloggio che non sia quello ufficialmente assegnato.
L’immenso paese tutto da scoprire - Montreal e la campagna circostante- la spaventa e la respinge, nonostante la gentilezza dei suoi abitanti e l’affettuosa pazienza con cui la sua compagna Lou cerca di renderla partecipe del proprio amore per il territorio e gli animali selvaggi che ancora lo popolano.
Troppo estremo il clima, anche per una svizzera non certo avvezza ai tepori mediterranei, ma comunque terrorizzata dai meno venti che Lou e la altre amiche invece affrontano con gioiosa semplicità. Troppo vasti gli spazi vuoti di uomini e case, in confronto alla pettinata e affollata campagna elvetica. Troppo selvaggi gli animali, cervi lupi e orsi; orsi veri, in libertà, non rinchiusi da generazioni in una fossa dalle lisce pareti al centro di Berna.
Ecco forse proprio la diversa condizione degli orsi, la aiuta a riflettere sulla diversità in genere della vita in Canada, sul rispetto della dignità che fin dal suo arrivo ha riscontrato: dal riconoscimento paritario del legame con la sua compagna, indipendente dalle sue scelte sessuali, alla tutela e alla cure durante la sua malattia.
Mai si é sentita discriminata come donna o come lesbica, ma il contesto culturale e l’ambiente naturale tanto diverso nei primi tempi del suo soggiorno la turbano più del previsto e le fanno perdere l’orientamento. Anche in questo però l’autrice riconosce la profonda diversità della sua esperienza da quella di suo padre, rimasto per tutta la vita “straniero’ in Svizzera, tollerato e controllato dalle autorità e dai vicini, nonostante tutta la sua buona volontà di far bene.
Il suo per fortuna invece é solo un disorientamento interiore, un personalissimo disagio, non dovuto all’ambiente esterno, che anzi cerca di aiutarla a inserirsi e che infine ci riuscirà. Pian piano Verena emergerà dalla malattia e dalle sue ansie, quando imparerà non solo a tradurre, ma a pensare in inglese: “ La lingua, la parola scritta, é in effetti la mia patria più importante, quella che mi é sempre rimasta. Per me quello che importa é solo tradurre tutto in questa lingua.”
La parola scritta rimane però sempre il tedesco, che é per lei casa, famiglia, rifugio della mente nei momenti di stanchezza e di emozione. E poi come rendere in inglese la ricchezza di espressioni e la complessità strutturale della lingua madre?
I moti dell’anima, i ricordi d’infanzia, le bellissime descrizioni dei paesaggi innevati, scorrono infatti con fluidità nel racconto; la forma é scorrevole e snella, ma la struttura dei periodi é ricca e articolata.
Bellissima a mio parere soprattutto la terza e ultima parte del libro; ormai Verena ha ritrovato se stessa e può finalmente rientrare in Europa. Stavolta fa lei da guida alla sua compagna a Berna, la città dove ha lasciato un pezzo di cuore. E di nuovo i contrasti stridenti tra le due culture saltano agli occhi; il vecchio mondo appare forse più arido e stanco, ma l’amore é cieco e basta leggere il pezzo in cui Verena descrive i bernesi che fanno il bagno nell’Aare, per capire da che parte batte ancora il suo cuore.
Che dire? Un libro che ho apprezzato e che voglio rileggere, un libro serio, profondo ma non pedante, un’autrice che Tufani ha fatto benissimo a far conoscere in Italia e di cui spero si possa presto leggere altro.
Ferrara 2012, pp. 167, euro12,00.
Sempre attenta a quel che succede nel panorama letterario elvetico, questa volta Luciana Tufani ci propone davvero un piccolo gioiello di scrittura: l’ultimo romanzo di Verena Stefan nella limpida ed efficace traduzione di Emanuela Cavallaro.
L’autrice, nata e cresciuta a Berna, si é trasferita prima in Germania e poi in Canada, patria della sua compagna di vita. Da quest’ultima esperienza, a cui si accompagna quella dolorosa di un cancro al seno combattuto e vinto, nasce lo spunto per questo romanzo.
Sin dalle prime pagine il lettore viene coinvolto in un fluire di immagini ed emozioni, una corrente che trascina lontano. Si penetra nel pensiero di una straniera che entra non solo in un territorio nuovo, ma é sopraffatta dalla difficoltà della comunicazione linguistica. C’é nel testo un eccezionale gioco di lingue che percepiamo chiaramente grazie all’ottima traduzione dal tedesco, che viene spesso interrotto da inserti in inglese e francese.
Per Verena infatti il linguaggio é il segno tangibile della patria ed é quindi tutta tesa ad assimilare al più presto i suoni e i contenuti dei due idiomi del nuovo paese in cui vive; fatica immane a cinquant’anni, quando la lingua cui puoi fare riferimento e di cui puoi fidarti, quella con cui per abitudine fai confronti, non sta più al centro e tutto intorno sembra franare.
A questo poi si aggiunge la brutta scoperta di un cancro al seno. Sarà però in qualche modo la malattia a darle la forza di vincere, non solo il carcinoma, ma anche le proprie difficoltà di ambientazione, grazie al sostegno e alle cure ricevute nel nuovo ambiente quebecchese.
Come già suo padre, tedesco trapiantato in Svizzera durante la guerra, Verena inizialmente si sente un’ospite estranea una “fremdschlafer”, termine burocratico con cui gli svizzeri indicano i richiedenti asilo che vengono sorpresi a dormire in un altro alloggio che non sia quello ufficialmente assegnato.
L’immenso paese tutto da scoprire - Montreal e la campagna circostante- la spaventa e la respinge, nonostante la gentilezza dei suoi abitanti e l’affettuosa pazienza con cui la sua compagna Lou cerca di renderla partecipe del proprio amore per il territorio e gli animali selvaggi che ancora lo popolano.
Troppo estremo il clima, anche per una svizzera non certo avvezza ai tepori mediterranei, ma comunque terrorizzata dai meno venti che Lou e la altre amiche invece affrontano con gioiosa semplicità. Troppo vasti gli spazi vuoti di uomini e case, in confronto alla pettinata e affollata campagna elvetica. Troppo selvaggi gli animali, cervi lupi e orsi; orsi veri, in libertà, non rinchiusi da generazioni in una fossa dalle lisce pareti al centro di Berna.
Ecco forse proprio la diversa condizione degli orsi, la aiuta a riflettere sulla diversità in genere della vita in Canada, sul rispetto della dignità che fin dal suo arrivo ha riscontrato: dal riconoscimento paritario del legame con la sua compagna, indipendente dalle sue scelte sessuali, alla tutela e alla cure durante la sua malattia.
Mai si é sentita discriminata come donna o come lesbica, ma il contesto culturale e l’ambiente naturale tanto diverso nei primi tempi del suo soggiorno la turbano più del previsto e le fanno perdere l’orientamento. Anche in questo però l’autrice riconosce la profonda diversità della sua esperienza da quella di suo padre, rimasto per tutta la vita “straniero’ in Svizzera, tollerato e controllato dalle autorità e dai vicini, nonostante tutta la sua buona volontà di far bene.
Il suo per fortuna invece é solo un disorientamento interiore, un personalissimo disagio, non dovuto all’ambiente esterno, che anzi cerca di aiutarla a inserirsi e che infine ci riuscirà. Pian piano Verena emergerà dalla malattia e dalle sue ansie, quando imparerà non solo a tradurre, ma a pensare in inglese: “ La lingua, la parola scritta, é in effetti la mia patria più importante, quella che mi é sempre rimasta. Per me quello che importa é solo tradurre tutto in questa lingua.”
La parola scritta rimane però sempre il tedesco, che é per lei casa, famiglia, rifugio della mente nei momenti di stanchezza e di emozione. E poi come rendere in inglese la ricchezza di espressioni e la complessità strutturale della lingua madre?
I moti dell’anima, i ricordi d’infanzia, le bellissime descrizioni dei paesaggi innevati, scorrono infatti con fluidità nel racconto; la forma é scorrevole e snella, ma la struttura dei periodi é ricca e articolata.
Bellissima a mio parere soprattutto la terza e ultima parte del libro; ormai Verena ha ritrovato se stessa e può finalmente rientrare in Europa. Stavolta fa lei da guida alla sua compagna a Berna, la città dove ha lasciato un pezzo di cuore. E di nuovo i contrasti stridenti tra le due culture saltano agli occhi; il vecchio mondo appare forse più arido e stanco, ma l’amore é cieco e basta leggere il pezzo in cui Verena descrive i bernesi che fanno il bagno nell’Aare, per capire da che parte batte ancora il suo cuore.
Che dire? Un libro che ho apprezzato e che voglio rileggere, un libro serio, profondo ma non pedante, un’autrice che Tufani ha fatto benissimo a far conoscere in Italia e di cui spero si possa presto leggere altro.